Negli ultimi tempi si sente spesso parlare di Bail in e di crisi bancarie ma non è semplice capire cosa sia e, soprattutto, se è il caso di difendersi in qualche modo. Il prelievo forzoso è un’eventualità che i correntisti vorrebbero sempre evitare.
Bail in e prelievo forzoso: quadro generale
All’inizio del 2016, il Governo Renzi ha introdotto delle nuove misure per la risoluzione delle sempre più frequenti e temute crisi bancarie, uno spauracchio per i correntisti che vedono a rischio il lavoro di una vita.
In pratica, seguendo una direttiva europea, è stato deliberato che nel caso in cui una banca italiana dovesse trovarsi in una situazione di dissesto, non sarà più possibile impiegare fondi pubblici per il suo salvataggio ma dovranno essere effettuate delle ricapitalizzazioni interne, con il contributo di azionisti e obbligazionisti e, se questo non dovesse bastare, è previsto anche il prelievo forzoso dai conti dei correntisti con depositi superiori a 100.000 euro.
Questo è il cosiddetto “Decreto Salva Banche”, che si è reso necessario dopo il caos generato da Banca Etruria e Banca Marche, per citarne due.
Quando si attua il Bail in
C’è un numero, una percentuale, che tutti i correntisti dovrebbero sempre tenere presente: 8%. Questa, infatti, è la soglia minima calcolata sulle passività di bilancio per attivare l’intervento di Bail in.
Ovviamente, prima che le banche possano attuare il prelievo forzoso dai conto correnti dei correntisti, devono effettuare la tassazione sugli azionisti e sugli obbligazionisti: solo se anche con quest’intervento non è possibile coprire le perdite per arrivare all’8% si può effettuare il prelievo forzoso, ma solo sui conti che superano i 100.000 euro di deposito.
Come difendersi dal prelievo forzoso
Ovviamente, i correntisti che hanno investito i loro capitali in conti correnti dovranno prestare massima attenzione alla situazione dei loro istituti di credito, monitorando in particolare le fattispecie considerate maggiormente a rischio crisi.
In particolare, i correntisti più previdenti presteranno la massima attenzione al Common equity tier 1, comunemente abbreviato in Cet1, che è un indicatore internazionale e ufficiale relativo alla condizione finanziaria delle banche, in cui vengono messia confronto i patrimoni netti dell’istituto di credito con i rischi che questo ha assunto in un periodo determinato.
E’ in base a questo valore che viene determinata la possibilità di accesso ai bail in: se il rapporto è pari o superiore all’8%, significa che la banca ha una certa solidità. Ovviamente, più è alto il valore maggiori sono le sicurezze che l’istituto di credito porge ai suoi correntisti.
Al contrario, se questo coefficiente è inferiore all’8%, deve scattare un campanello d’allarme e sarebbe consigliabile correre ai ripari, attuando tutte le possibili mosse per difendersi da un eventuale crisi bancaria, con conseguente Bail in per i correntisti con un conto maggiore ai 100.000 euro.
Inoltre, è bene ricordare che il limite di 100.000 euro viene calcolato sul depositante e non sul deposito: questo significa che in caso di conto cointestato con fondi superiori a 100.000, la parte eccedente non può essere presa in considerazione fino ai 200.000 euro, ossia fino a che entrambi i titolari non hanno teoricamente a disposizione almeno 100.000 euro a testa.
Tuttavia, in caso di Bail in, possono essere coinvolti anche i conti delle PMI, se il prelievo forzoso dai conti delle persone fisiche non è sufficiente a raggiungere la soglia minima.
Le banche a rischio nel nostro Paese
Il Fatto Quotidiano ha recentemente stilato una lista delle banche con maggiori problemi nel nostro Paese, ossia quelle che presentano maggiori possibilità di attuare la misura del Bail in per il risanamento.
In particolare, in base a questa lista, la banca che presenta maggiori criticità è la Banca Popolare di Vicenza, con un Common equity tier 1 pari a 6,80%, seguito a ruota da Veneto Banca, con un Common equity tier 1 di 7,12%.
Questi sono gli unici due istituti con un Cet1 inferiore a 8 in Italia. Sul limite del rischio, invece, si trovano Banca Popolare di Sondrio, Unicredit Banca e Gruppo Banco Desio, che eccedono di poco il 10%.