Dal 2015 in Italia è presente una nuova indennità di disoccupazione: si chiama NASpI ed è dedicata ai lavoratori che si trovano in momentanea situazione di difficoltà a causa della perdita del lavoro.
NASpI: cos’è?
NASpI è la nuova indennità di disoccupazione, una prestazione economica dedicata ai lavoratori disoccupati che è stata istituita nel 2015 e che viene erogata ai soggetti che ne fanno domanda, previa dimostrazione dei requisiti. Nello specifico, è destinata ai lavoratori dipendenti che hanno perso il lavoro per cause non a loro assimilabili a partire dal 1 maggio 2015. Si tratta di una misura di sussistenza nata per accompagnare i tantissimi lavoratori italiani che a causa della crisi hanno perso il loro lavoro. Rientra nella cosiddetta Riforma del Lavoro del 2015, il Jobs Act, ed è di fatto il sostituto dell’assegno di disoccupazione che era stato introdotto nel 2011 con la Riforma Fornero. Rispetto all’assegno unico di disoccupazione, il NASpI prevede altri parametri di calcolo e di valutazione, che incidono in maniera concreta sull’importo erogabile a ciascun disoccupato. Per come è configurata, per esempio, è un ammortizzatore sociale particolarmente utile per i lavoratori precari della scuola, che terminato il contratto di supplenza o di insegnamento annuale, in attesa di quello successivo possono usufruire del NASpI per durante i 2 mesi di vacanza del posto di lavoro.
NASpI: a chi spetta?
Come accennato in precedenza, questo ammortizzatore sociale momentaneo è dedicato ai lavoratori subordinati che per cause non da loro dipendenti si trovano in una condizione di disoccupazione. Rientrano in questa categoria anche:
– i lavoratori assunti con contratti di apprendistato temporanei;
– i lavoratori delle società cooperative risultanti come soci ma con un rapporto di lavoro assimilabile al subordinato;
– i lavoratori del settore artistico, inquadrati come subordinati;
– i lavoratori impiegati negli uffici e o nelle attività della Pubblica Amministrazione, a cui viene sottoposto un contratto a tempo determinato.
Come è evidente, il NASpI abbraccia un’ampia varietà di lavoratori ma, ovviamente, non tutti possono usufruirne, anche se licenziati per cause non da loro dipendenti. In particolare, non possono essere accolte le domande provenienti da:
– i lavoratori impiegati nella Pubblica Assunzione e assunti con contratto a tempo indeterminato
– i lavoratori impiegati nel settore agricolo, sia quelli con contratti di lavoro subordinato tempo determinato sia quelli con contratti a tempo indeterminato;
– i lavoratori considerati per legge extra-comunitari, perché per loro è stata prevista una normativa apposita che esula dalle logiche del NASpI.
Chi perde il lavoro per causa non sua e si riconosce in una delle categorie meritevoli di beneficiare del contributo NASpI, deve dimostrare di aver percepito un reddito durante il periodo lavorativo e di averne versato i contributi corrispettivi. Solo in quel caso la domanda può essere accolta, in assenza di uno o più requisiti la richiesta viene cassata. A differenza dell’assegno unico di disoccupazione previsto dalla Legge Fornero, inoltre, nella normativa NASpI è stato abolito il requisito dei due anni di versamento contributivo al momento del licenziamento, includendo quindi tra i beneficiari anche i giovani e gli apprendisti.
La disoccupazione non imputabile e il requisito contributivo
Il requisito della disoccupazione non imputabile è fondamentale, perché non possono accedere al NASpI i lavoratori che si sono volontariamente dimessi senza una giusta causa, quelli licenziati per giusta causa e quelli che sono usciti dall’impiego con una risoluzione consensuale con il datore di lavoro.
Fanno eccezione le dimissioni durante la maternità (300 giorni prima del parto e 12 mesi successivi alla nascita del figlio) e quelle per giusta causa, imputabili a comportamenti non corretti o dannosi da parte del datore di lavoro.
Pur essendo caduta la necessità di possedere due anni contributivi alla data di licenziamento, il lavoratore disoccupato deve comunque dimostrare di aver maturato almeno 13 settimane di contribuzione utile nei 4 anni che precedono la data della cessazione del rapporto lavorativo, escludendo quelli ricadenti durante la malattia e l’infortunio, la cassa integrazione, il congedo o l’aspettativa.