E’ legittimo il licenziamento motivato di un soggetto dipendente assunto dall’azienda con l’intento di realizzare “una organizzazione più conveniente per un incremento del profitto“: è ciò che è stato sancito dalla Sezione del Lavoro della Corte di Cassazione, presieduta da Vincenzo Di Cerbo, con la sentenza n. 245201 del 7 dicembre 2016, che ha annullato la decisione con cui la Corte di Appello di Firenze, lo scorso maggio 2015, aveva imposto ad una SpA con sede legale a Roma di corrispondere un’indennità pari a 15 mensilità ad un dipendente licenziato l’11 giugno 2013, ritenendo che non sussistesse un “giustificato motivo oggettivo” per la risoluzione del rapporto di lavoro.
I Giudici della Suprema Corte hanno accolto le tesi dei consulenti legali dell’impresa, che hanno richiamato l’articolo 41 della Costituzione per sostenere che “l’imprenditore è libero, pur nel rispetto della legge, di assumere quelle decisioni atte a rendere più funzionale ed efficiente la propria azienda, senza che il giudice possa entrare nel merito della decisione“, e che sia “un limite gravemente vincolante” per l’autonomia dell’imprenditore quello di restringere la possibilità di “sopprimere una specifica funzione aziendale solo in caso di crisi economica finanziaria e di necessità di riduzione dei costi“. Secondo la sentenza n.245201 emessa in data 7 dicembre 2016 “il motivo oggettivo di licenziamento determinato da ragioni inerenti all’attività produttiva, nel cui ambito rientra anche l’ipotesi di riassetto organizzativo per la più economica gestione dell’impresa, è rimesso alla valutazione del datore di lavoro, senza che il giudice possa sindacare la scelta dei criteri di gestione dell’impresa“.
La sentenza n. 245201 del 7 dicembre 2016: licenziamento giustificato per incrementare il giro d’affari
Sembra una beffa e una violazione vera e propria al diritto di essere lavoratori e di essere tutelati come tali; in effetti, la sentenza n. 245201 del 7 dicembre 2016 emessa dalla Sezione del Lavoro della Corte di Cassazione, presieduta da Vincenzo Di Cerbo, ha sancito che il licenziamento di un dipendente perché sia legittimo “è sufficiente che il licenziamento sia determinato da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa, tra le quali non possono essere aprioristicamente o pregiudizialmente escluse quelle che attengono a una migliore efficienza gestionale o produttiva, ovvero anche quelle dirette a un aumento della redditività d’impresa”. Per licenziare un dipendente è considerato meritevole di considerazione “l’obiettivo aziendale di salvaguardare la competitività nel settore nel quale si svolge l’attività dell’impresa attraverso le modalità, e quindi la combinazione dei fattori della produzione, ritenute più opportune dal soggetto che ne assume la responsabilità anche in termini di rischio e di conseguenze patrimoniali pregiudizievoli”. Nel dilemma esistente tra apportare una miglioria gestionale e l’esercitare il diritto di recesso di un singolo rapporto di lavoro, l’imprenditore è legittimato nell’optare per la seconda condizione, venendo a stabilire la dimensione occupazione dell’impresa al fine di perseguire una massimizzazione del profitto.