Se per anni le crisi bancarie sono state risolte usando soldi pubblici, da quest anno l’entrata in vigore del cosiddetto bail-in ha imposto una gestione delle crisi degli istituti di credito attraverso risorse private: lo Stato non potrà più intervenire direttamente nei fallimenti delle banche.
La legge delega approvata lo scorso anno in merito all’attribuzione delle funzioni di risoluzione delle crisi bancarie ha designato la Banca d’Italia come autorità responsabile.
Il bail-in, anche noto come salvataggio interno, è uno strumento che permette alle autorità di risoluzione sia di ridurre il valore delle azioni sia di convertire in azioni alcuni crediti per assorbire le perdite di un istituto bancario; il tutto mira al mantenimento di un grado ottimale di fiducia del mercato attraverso una ricapitalizzazione della banca.
L’autorità responsabile impiega il bail-in per ricostituire il capitale attraverso la conversione di parte della passività in azioni; pertanto consente alla banca di continuare ad operare e ad offrire servizi finanziari per la collettività.
Poichè le risorse finanziarie per la stabilizzazione provengono da azionisti e creditori, i costi per i contribuenti sono nulli; in più con il bail-in le perdite arrecate agli azionisti e ai creditori non possono essere maggiori di quelle che le procedure ordinarie di liquidazione prevedono.
L’ordine di priorità per il bail-in è il seguente:
- gli azionisti
- i detentori di altri titoli di capitale
- gi altri creditori subordinati
- i creditori chirografari
- le persone fisiche e le piccole o medie imprese titolari di depositi per l’importo eccedente i 100000 euro
- il fondo di garanzia dei depositi
Le banche nel mirino di Bankitalia
Con le nuove norme sul bail-in sono tre le banche italiane nel mirino di Bankitalia:
- la cassa di risparmio di San Donato
- la cassa di risparmio di Rimini
- la cassa di risparmio di Cesena
Si tratta di tre situazioni da tempo monitorate dalla Banca Centrale, chiamate ad un rafforzamento patrimoniale e a un aggiornamento del piano industriale che possa garantire un aumento del capitale.
E la ragione è semplice: il passivo con cui hanno salutato lo scorso anno non ha lasciato spazio a grande fiducia. Come potevano passare inosservati i loro corposi conti in rosso?
Complessivamente, per allontanare lo spettro del fallimento, i tre istituti devono chiedere al mercato tra i 250 e i 300 milioni di euro; dove trovare i soldi?
Purtroppo, allo stato dei fatti, per i tre istituti il prelievo forzoso sui depositi superiori ai 100 000 euro in caso di crack potrebbe diventare realtà. Soprattutto perchè, anche se il bail-in nasce con il nobile intento di responsabilizzare la governance delle banche al fine di evitare altri crack finanziari, è difficile credere che i grandi azionisti siano disposti ad assumersi la responsabilità delle perdite e ad accettare il ruolo di capitani coraggiosi che affondano con la propria nave.
La banca che appare più al sicuro è quella di Cesena, grazie alla disponibilità ottenuta da parte del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (FITD) a sottoscrivere la sua ricapitalizzazione; per le altre due banche la situazione appare più complessa e i correntisti non possono certo vantare sonni tranquilli.